(G.T. Modena, 2 febbraio 2009)
Fino ad un certo punto i due figli di una anziana donna erano riusciti a gestire concordemente il menage della madre, corrispondendo ciascuno, per le sue necessità, un contributo annuo di seimila euro, mediante versamento su di un conto corrente alla stessa intestato.
Poi, però, la madre aveva riscosso l’indennità di accompagnamento, ed il figlio maschio aveva inteso porre in discussione l’accordo relativo al quantum del contributo, a suo tempo pattuito.
E, per realizzare tale suo obiettivo – si badi bene – l’uomo aveva pensato, maldestramente, di rivolgersi al g.t. per ottenere la nomina del proprio figlio, quale amministratore di sostegno dell’anziana.
Male facesti, tuona il g.t.: lungi dal portare la questione con la sorella nella sede propria (il giudice civile ordinario), l’uomo ha tentato di far valere i propri interessi economici strumentalizzando la disciplina dell’AdS, improntata – come noto – al perseguimento di ben diverse finalità.
La biasimevole iniziativa ha comportato il rigetto della domanda, dato che la pretesa beneficianda è risultata, in realtà, adeguatamente presidiata dalla figlia convivente, e la condanna alle spese legali del ricorrente.