L’ imputato – un uomo separato, padre di due bambini, di professione infermiere ed invalido civile – aveva sempre corrisposto somme non irrisorie per il mantenimento dei figli.
La sua condizione economica, peraltro, non poteva dirsi certo florida: l’invalidità conseguita per effetto di un incidente stradale consentiva l’espletamento dell’attività lavorativa soltanto part-time, con una retribuzione, conseguentemente, dimezzata rispetto a quella della moglie (pure lei infermiera).
Era pur vero che, ad un certo momento, l’uomo aveva autoridotto l’ammontare dell’assegno, ma a ciò era stato indotto, altresì, dall’esasperazione cui la moglie lo aveva ridotto con i propri comportamenti ostruzionistici (che di fatto avevano paralizzato ogni possibilità di frequentazione tra padre e figli).
L’imputato, insomma – come ben spiega il giudicante- sentendosi privato e comunque limitato nel proprio diritto di genitore ed addebitando tale privazione a vessazioni riconducibili in capo alla moglie, aveva talora ridotto i versamenti mensili non tanto per far mancare il sostentamento ai figli, quanto per indurre la donna a non ostacolare l’esercizio pieno dei diritti propri di padre e di quelli dei nonni paterni relativamente al diritto di visita con i figli.
Giudizio conclusivo: assoluzione perché il fatto non sussiste.Una decisione equilibrata, per nulla formalistica, ma, anzi, correttamente ispirata ad profondo senso di comprensione delle ragioni che – a volte- inducono comportamenti astrattamente riconducibili ad un reato.