“E come potevamo noi cantare” alle pur profumate fronde dei tigli ..
Potrebbe cominciare così il lamento dei deboli che a Perugia, ancora oggi, a oltre quattro anni dalla riforma sull’amministrazione di sostegno, si trovano costretti a vivere senza possibilità di accesso alla misura di protezione.
L’attenzione dei familiari e del volontariato nel convegno svoltosi a Perugia pochi giorni fa era forte, risoluta, quasi invocante; dominata però da un’aria di mestizia che li pervadeva.
Ed ecco perché:
– nessun magistrato, tra quelli invitati (e si intende che invitati erano coloro che dovrebbero vedersela quotidianamente con l’ altrui disabilità e con gli strumenti di protezione), ha ritenuto importante (né doveroso) partecipare;
– l’ufficio del giudice tutelare, poi, è come una giostra sulla quale assidono, a turno, i vari magistrati. Ciò fa sì (e non ci sarebbe neppure bisogno di precisarlo, tanto è lampante!!!) che nessun beneficiario di AdS si trovi presidiato in via continuativa dal giudice che ha emesso il relativo decreto istitutivo. Con tutte le ricadute immaginabili che un sistema dominato dalla turnazione produce inevitabilmente sull’efficienza organizzativa, oltrechè sull’ efficacia del dialogo e dell’interfacciamento tra i protagonisti del sostegno;
– per di più, ed è questo il motivo che più avvilisce i soggetti deboli di questa zona d’Italia, i ricorsi che vengano presentati senza il patrocinio di un avvocato sono irrimediabilmente destinati a non venire accolti. Non è stato chiarito, in verità, se detti ricorsi vengano dichiarati inammissibili (ciò che, perlomeno, consentirebbe il reclamo) o se, addirittura, non vengano neppure materialmente accettati presso la Cancelleria.
Motivo ulteriore di delusione – specie per gli operatori del volontariato – è che proprio Perugia si mostrò, in passato, particolarmente sensibile all’argomento della protezione dei disabili, anche psichici, facendosi addirittura antesignana di certe esperienze attuative dell’amministratore di sostegno in tempi “quasi” non sospetti; mentre ora va annoverata, purtroppo, come fanalino di coda delle esperienze applicative del neo-istituto.
Per meglio dire, già a metà degli anni ’80 (quasi in contemporanea con il celebre convegno triestino da cui prese origine la bozza Cendon) venne organizzato a Perugia un convegno dal titolo “La protezione giuridica dell’insufficiente mentale”; un titolo che colpisce per la scelta terminologica: “insufficiente”, come dire ‘inadeguato’, ‘che non basta a se stesso’, ‘debole’, dunque; qualcosa di ben diverso dall’idea di ‘incapacità’.
E si pensi, ancora, che nell’ottobre 2003 (prima dunque del passaggio della riforma), la giunta regionale approvò un progetto volto a sperimentare l’amministratore di sostegno – sia pure con una caratterizzazione in parte differente da quella attuale – su base regionale, grazie anche all’istituzione di un ufficio denominato ‘ufficio tutele’.
Poi, le cose sono andate diversamente, e quanto diversamente!
Per concludere, pare proprio che nella città della Rocca Paolina, l’interdizione sia ancor oggi la misura di protezione che regna sovrana e…indisturbata.
E, la prossima volta, forse già domani, dirò di una sentenza abbastanza raccapricciante.
Cosa concludere, allora? I cittadini di Perugia si sono affrancati, nei secoli, con coraggio, dal potere che per secoli li ha dominati (proprio il 20 maggio si rievocavano quegli eventi storici).
E, di sicuro, non potranno accettare che i loro concittadini meno fortunati continuino a sopportare oggi il peso schiacciante della insensibilità, e della neghittosità.
Che fare? E’ necessario che le organizzazioni di volontariato e le associazioni dei familiari mettano in campo un coordinamento per assumere ogni iniziativa utile: raccolte di firme, petizioni, corsi di formazione, tavolo comune; e, perché no, ricorsi-pilota da presentarsi senza corredo del patrocinatore, in modo da provocare pronunce di inammissibilità, contro cui proporre reclamo.
Insomma, non è dei cittadini di Perugia arrendersi, meno che mai ora.