1. Da quando il giudice Antonio Costanzo è arrivato al Tribunale civile di Bologna, la musica è alquanto cambiata per quanto concerne il trattamento cui vanno incontro, nel capoluogo emiliano, i c.d. soggetti deboli.
Sarà per il fatto che i provvedimenti giudiziari li redige direttamente lui, oppure perché la sua sensibilità e il suo buon senso si fanno sentire beneficamente, presso i colleghi sotto la torre degli Asinelli: fatto sta che le interdizioni sembrano essere diventate qualcosa di eccezionale, a Bologna.
Da qualche mese a questa parte, pressoché tutte le persone in difficoltà del capoluogo emiliano e dintorni vengono protette, in sede giudiziale,mediante provvedimenti di apertura di amministrazioni di sostegno.
2. Oggi è il turno di una ragazza vittima di un incidente stradale, da tre anni caduta in stato vegetativo persistente; nei cui confronti era stato introdotto all’inizio – per iniziativa dei genitori – un regime di amministrazione di sostegno. Assetto in seguito venuto meno, con lo scadere del termine previsto.
Sempre i genitori (consigliati da chi?) avevano istato successivamente, date le gravissime condizioni della figlia, per l’interdizione della stessa.
Il Tribunale di Bologna giustamente respinge – per ragioni di vario tipo, che vengono spiegate dettagliatamente nella motivazione – una richiesta siffatta (provvedendo a tal fine con sentenza); dispone poi la trasmissione degli atti al giudice tutelare, ai fini della scelta di un A.d.S.: nomina intanto in tale veste la madre della paziente, a titolo provvisorio, riservando al g.t. “ogni valutazione in proposito e una più dettagliata specificazione dell’incarico affidato all’amministratore di sostegno”.
3. Che dire di tutto ciò? Meglio non si sarebbe potuto fare.
Sembra – per certi versi – un provvedimento scritto in un paese in cui l’interdizione sia già stata abolita, come ad esempio in Austria o in Germania. Una sentenza che obbliga l’interprete dotato di ‘occhio chiaro’ e di ‘affetto puro’ ad esclamare: “Viva la nostra Corte di Cassazione!” – la quale, come si sa, ha il merito di aver spianato di recente la strada, con una bella pronuncia, al lavoro quotidiano dei giudici di merito, sulle questioni della non autonomia gestionale dei soggetti deboli e della loro salvaguardia.
Ci sono, in Italia, giuristi i quali pensano che una creatura che sta “così così” a questo mondo (cioè piuttosto male, ma neanche tanto) possa e debba godere del presidio introdotto con la l. 6/2004; e che chi sta male sul serio dovrebbe, invece, essere interdetto. Sempre e comunque – anche oggi, ottobre 2006. Davvero, non c’è peggior sordo …
Ogni tanto, per la verità, cose simili succedono anche con il danno esistenziale, malgrado quanto è successo dopo la 8828/2003! Solo che lì – ecco il punto – il mugugno si riduce talvolta a un brontolio di facciata, che non impedisce poi al giudice un riconoscimento concreto, alla vittima, delle voci pregiudizievoli che rilevano; oppure il no è colpa soprattutto dell’avvocato, il quale non ha fatto praticamente niente, sul piano probatorio, per giustificare al suo cliente quell’attribuzione, e che si merita tutto sommato un verdetto negativo.
Mentre nel campo della disabilità umana – ecco la differenza – l’ottusità dei nostalgici è destinata a tradursi in una vera e propria ‘morte civile’, che verrà appioppata dai tribunali, in nome del popolo italiano, agli esseri indifesi caduti sotto quelle grinfie.
4. Sono molti gli interpreti nostrani a ritenere (non tanto che è vero l’esatto contrario – dal momento che chi sta così così non andrà affatto interdetto oggigiorno – ma) che coloro i quali stanno peggio, su questa terra, per ragioni psichiche, o fisiche, o sensoriali, o per età, o per altro, sono quelli che andrebbero in realtà trattati meglio, cioè con minor durezza, cecità, protervia e oppressività, da parte del diritto civile.
Non c’era qualcuno che diceva, tanto tempo fa, che gli ultimi saranno i primi, o qualcosa del genere? E’una cosa che mi è rimasta nelle orecchie.
Come quell’altra faccenda – ricordate? – di Maramaldo, di cui ecco in due parole i particolari storici (rispolverati, lo confesso, grazie a Google): “Nel 1530 a Gavinana, sui monti pistoiesi, avvenne lo scontro fra le truppe comandate da Francesco Ferruzzi al servizio della Repubblica di Firenze e quelle di Fabrizio Maramaldo alle dipendenze degli Spagnoli. Ferruzzi, gravemente ferito, fu condotto davanti a Maramaldo e prima che questi l’uccidesse con una pugnalata, riuscì a gridargli in faccia le parole ‘ Vile, tu uccidi un uomo morto’, che l’accusavano di vigliaccheria, perchè infieriva su un uomo incapace di difendersi. In riferimento a quell’episodio, oggi si adopera il verbo ‘maramaldeggiare’ per biasimare chi approfitta dei più deboli”.
5. ‘Persona e danno’ continua, intanto, a portare avanti la messa a punto della ‘bozza di abrogazione dell’interdizione’. Siamo abbastanza a buon punto, sulla carta. Restano da esaminare le disposizioni speciali extra c.c., occorre rifinire la relazione di accompagnamento, vanno allestite le tavole sinottiche per quanto concerne la situazione europea.
Si tratterà poi di verificare mille dettagli, facendo circolare il progetto fra tante persone. Poi l’assalto (bipartisan) alla Bastiglia.
6. Qualche indiscrezione sulle direzioni statutarie che ci saremmo orientati a imboccare.
– Via le disposizioni dal 414 al 432 c.c., addio senza rimpianti.
– Rimarrà solo il 428 c.c., in veste però oggettivizzata, nel senso che il ‘grave pregiudizio’ diventa il perno (unico) anche per l’annullabilità dei contratti.
– Via il 411 c.c., ultimo comma, sostituito da una serie di previsioni sparpagliate nelle opportune sedi, ove si prevede la possibilità che il g.t. vieti via via al beneficiario di sposarsi, oppure di esercitare impugnative familiari, di fare testamento o donazioni, etc., salvo qua e là la possibilità di farlo con l’aiuto di un A.d.S.
– Addio al fedecommesso: rimpiazzato da un nuovo istituto, non solamente di timbro successorio (penseremmo comunque di lasciarlo lì, cioè nel secondo libro, per coprire i vuoti degli articoli che si vengono a cancellare; e un po’ anche per motivi di “psicologia delle famiglie di down e oligofrenici”), tipo “patrimonio di destinazione’, con vincoli di tendenziale inalienabilità e inespropriabilità.
– Niente previsioni di un trust vero e proprio, concepito specificamente per i deboli: troppo complicato per la normalità dei casi; chi vuole a tutti i costi una soluzione del genere, e ha i soldi che occorrono (beato lui), potrà farsi istituire un trust a sua misura.
– Qualche micro-cambiamento di principio, visto che si parla di liberazione degli incapaci dalle strettoie del passato, potrebbe immaginarsi per quanto concerne anche i minori (potranno compiere gli atti della vita quotidiana, lo stesso i minori sotto tutela).
– Cambia il 2046 c.c., che vedrà equiparati di qui in poi deboli e non deboli sotto il profilo risarcitorio, salvo addolcimenti ope iudicis sul terreno del quantum.
– Ampi e ovvi i ritocchi alle norme del c.p.c. dal 712 al 720 (cambierà la rubrica, ma la procedura dell’A.d.S. era già in larga parte nel c.c.). E così avanti.
7. Siamo incerti se introdurre nel c.c. la parola “incapacitare, incapacitato”.
Semplificherebbe un po’ le cose, dal momento che la perdita o la deminutio della sovranità negoziale avverrà di qui in poi solo ‘dal basso’, per espressa indicazione del giudice tutelare. E non è tanto facile, a ben vedere, riuscire a esprimere un concetto del genere se non ricorrendo a perifrasi tipo “qualora si tratti di atti rientranti nella sfera di rappresentanza esclusiva dell’amministratore di sostegno”, “di atti rispetto ai quali era stato adottato dal giudice tutelare nei confronti del beneficiario un impedimento, o un divieto a contrarre”. Locuzioni non proprio meravigliose, come ognun sente.
Ma una parola che non c’è neanche nel Devoto-Oli si può pensare di metterla ex novo nel c.c.? E se non quelle locuzioni, quali?
8. Nel frattempo – come oggi sulle falde del monte Rushmore negli stati Uniti (dove si contemplano scolpiti nel granito i visi solenni di George Washington, Thomas Jefferson, Teddy Roosevelt ed Abramo Lincoln) – stiamo cercando qualche ampia parete rocciosa, sulle Alpi o sugli Appennini, dove incaricare un bravo artista di scolpire le facce dei giudici che in questi anni più intensamente hanno contribuito, con i loro provvedimenti, a far invecchiare e degradare l’istituto dell’interdizione: Guido Stanzani e Sergio Trentanovi, prima di tutti, e poi altri valorosi magistrati giovani o giovanissimi, delle più varie città italiane, anch’essi ‘politicamente corretti’ e meritevoli di semi-eternità rocciosa.
Inutile far nomi; il lettore che clicchi su e giù lungo il lemma ‘Amministrazione di sostegno’ di ‘Persona e danno’ capirà subito a chi si può pensare – magari fra un po’ di tempo.
9. E per i giudici ‘cattivi’, quelli (pochi?) che interdicono ancora le vecchiette invece di far loro attraversare la strada?
Mah … come trattamento si potrebbe immaginare quello stesso che, in uno dei suoi incubi notturni, in bianco e nero, si vede irrogare l’anziano prof. Borg de “Il posto delle fragole” di Ingmar Bergman.
Ricordate? A un certo punto Borg – coi suoi baffi all’antica, il profilo sottile e ostinato, l’aria spaesata, il soprabito scuro – sogna di trovarsi in un fitto bosco, da solo; e di arrivare poi in una grande casa tetra, dove l’accoglie (ha la faccia dell’uomo cui Borg sta dando un passaggio in macchina) un signore alto e magro, calvo, col viso puntuto, lo sguardo teso: il quale accoglie Borg – stupefatto di essere lì – dicendogli che tutto è pronto per la prova universitaria.
Borg si trova inaspettatamente, così, a dover affrontare un vero e proprio esame di medicina; un anfiteatro accademico, semivuoto, silenzioso: prove orali e di laboratorio, sia pratiche che teoriche, volti ben noti o familiari (perchè mai lì?) che assistono o che subiscono ciascuna di esse.
10. Borg non sa rispondere – di fatto – a nessuno dei test: è impacciato, maldestro. Sinchè arriva dall’inquisitore l’ultima richiesta. “Adesso la domanda finale, professore”. Borg è lì che aspetta, lo sguardo un po’ spaurito. “Qual è – chiede l’esaminante – il primo dovere di un medico?” (nel nostro caso potremmo dire: “di un giudice”, ma io ci metterei anche “di un professore”; fors’anche “di un avvocato”).
“Il primo dovere di un medico?”, chiede Borg. “Si professore”. “Il primo dovere di un medico … dunque … il primo dovere, curioso però, lo sapevo, ora non ricordo …”. Rinuncia dopo un attimo: “Non lo so più. Mi dica lei, La prego, qual è la risposta?”.
L’altro allora, con un’espressione di ovvietà e insieme di rimprovero: “Il primo dovere di un medico è chiedere scusa”. Borg sembra rianimarsi per un momento: “Ah, sì, sì, è vero – con mezzo sorriso – lo sapevo. E’ quello il primo dovere, chiedere scusa agli altri”.
Qualche istante di silenzio; poi l’interlocutore fa segno che è giunta l’ora di uscire. Borg pare avviarsi ma subito si ferma: “E l’esame – chiede – com’è andato?”.
L’esaminante annuncia che la prova è andata male: bocciato. Borg annuisce, rassegnato, se l’aspettava: lo vediamo domandare però, dopo un secondo: “La sanzione qual è”. L’altro lascia passare qualche istante, si vede che non vorrebbe rispondere; finché, con aria compunta: “La sanzione? Non saprei, professore. La solita immagino”.
La voce di Borg è sempre più flebile: “E quale sarebbe?”. L’altro, con distacco ormai, e al tempo stesso compassionevole: “La solitudine”.