Con la sentenza del 25 settembre (ricorso 33783/09), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha forse scritto una pagina storica nell’ambito dei diritti dei figli adottati. Sul piatto della bilancia sono stati finalmente posti due diritti ugualmente rilevanti: da un lato il diritto del figlio a conoscere le proprie origini, dall’altro quello della madre a mantenere l’anonimato. La sentenza condanna il divieto per chi è stato abbandonato (ed eventualmente adottato) di conoscere l’identità personale della madre, nonché le circostanze in cui è avvenuta la sua nascita.
La legge che stabilisce tale divieto – ha sancito la CEDU – risulta contraria all’articolo 8 della Convenzione Europea che così recita: “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare. […] Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale”.
Questa la vicenda. Una bambina, abbandonata all’atto della nascita dalla madre, veniva affidata per qualche tempo ad un orfanotrofio ed, infine, adottata da una famiglia. Una volta raggiunta l’età adulta, desiderosa di ottenere informazioni circa le circostanze della sua nascita e sull’identità della madre naturale, la giovane si scontrava con un muro di diniego assoluto innalzato dalle autorità nazionali italiane. Dopo molti anni trascorsi nelle traversie giudiziarie nazionali, la donna decideva di rivolgersi alla Corte Europea che, accogliendo le sue ragioni, rilevava l’inadeguatezza della legislazione italiana.
La Corte dichiarava che il diritto a conoscere le proprie origini rientra nell’alveo di protezione dell’articolo 8, enunciante il diritto all’identità personale. Tale diritto, ribadisce la sentenza, non si estingue negli anni ma, anzi, può accrescersi poiché possibile causa di sofferenze psicologiche protratte nel tempo.
Affermato questo diritto, tuttavia, la Corte riconosceva l’esistenza, in capo alla madre, di un diritto a mantenere segreta la propria identità.
La Corte affida ai singoli Stati il bilanciamento dei diversi diritti in gioco, trovando, di volta in volta, un equilibrio che consenta la maggiore tutela ad entrambe le parti.
Le posizioni assolute sono un retaggio del passato che mal si addicono alla complessità della società moderna: ogni diritto non è un assoluto ma è legato gioco-forza con altri diritti e altri soggetti. Una tutela adeguata esige, inevitabilmente, la considerazione specifica di ogni aspetto, prescindendo da una facile assolutizzazione. (Federico Tufano)