Pubblichiamo il testo del disegno di legge di iniziativa governativa relativo ai diritti delle persone conviventi.
Di rilievo centrale l’art. 1 del d.d.l. il quale enumera le condizioni – talune positive, altre negative – del futuro statuto delle convivenze. osì, tra le prime (abbastanza scontate, tutto sommato) : l’assenza di un vincolo matrimoniale, l’assenza altresì di un legame di parentela/affinità, oltrechè di adozione, affiliazione, tutela, curatela o amministrazione di sostegno.Le condizioni positive riguardano, a loro volta, i caratteri della convivenza, la quale deve essere stabile, e improntata ad un vincolo affettivo reciproco, oltrechè a vicendevole assistenza e solidarietà morale e materiale: sarà verosimile pensare, allora, che il DI.CO. cessi di esistere ipso iure nel momento dell’insorgere di una crisi affettiva, o qualora uno dei due ‘dicendi’ si sottragga ai contemplati doveri di assistenza e solidarietà nei confronti dell’altro? Ecco – in tale passaggio- un primo profilo problematico di non poco conto.
Il riscontro formale (e, al tempo stesso) probatorio dell’esistenza di una convivenza giuridicamente rilevante sarà costituito (così prevede il II comma dell’art. 1) dall’ iscrizione anagrafica, già contemplata dal regolamento dell’anagrafe residente (D.p.R. n. 223/1989.
Per chi dunque intenda far valere i diritti contemplati dal disegno di legge sarà sufficiente esibire la risultanza anagrafica, mentre la prova contraria – ovverossia la prova della mancanza degli elementi costitutivi del DI.CO. – spetterà alla parte che si oppone alle altrui pretese.
Non tutte le convivenze anagrafiche, pertanto, saranno da considerare imprescindibilmente ed inoppugnabilmente ‘dico-convivenze’, ma occorrerà distinguere.
Ciò che non convince – nel testo dell’articolo di apertura – è il quarto comma, il quale subordina l’esercizio dei diritti e delle facoltà previsti dalla legge all’attualità della convivenza. Che accade, allora – sorge spontanea la domanda- nel momento in cui la convivenza viene a cessare?
In tal caso, nessun diritto – che pur spettava in costanza di DI.CO. – potrà essere vantato dall’ ex convivente nei confronti dell’altro.
Eppure, una delle premesse fondamentali dell’impianto proposto è proprio quella di una convivenza che si regge sull’affetto reciproco, sulla solidarietà morale e materiale, e, in definitiva, su una comunione di vita (v. il presupposto della convivenza stabile).
Quale sarà, dunque, la sorte del convivente che ad un certo punto venga rifiutato dall’altro e abbandonato a se stesso? E, come concepire doveri di solidarietà e di assistenza che svaniscono come neve al sole non appena una delle parti decide di tornare sui propri passi?
Nè potrà certo considerarsi sufficiente la previsione – contenuta nell’art. 12 del d.d.l. – di un mero obbligo alimentare, oltretutto limitato ad un periodo di tempo.
Alquanto riduttiva appare, poi, la previsione del diritto di subentro nel contratto di locazione (diritto oltretutto spettante nel solo caso in cui la convivenza sia stabilizzata da almeno tre anni).
Un progetto dagli intenti coraggiosi, certamente, sul piano politico; eppure, alla ricerca di un punto di equilibrio difficile a trovarsi; dall’ impronta apparentemente forte, ma alquanto sprovvista, a dire il vero, sul versante della regolamentazione dei rapporti interpersonali del ‘dopo-di.co’; un progetto che si erge a paladino dei diritti dei conviventi verso i terzi, nei rapporti esterni (lavoro, salute, casa, pensione) ma che di fatto rimanda a normative future (ed eventuali) e, per certi versi del tutto incerti, le possibili forme di salvaguardia da attivare.
Un progetto non troppo stentoreo, in definitiva, espressione chiara della ricerca di un difficile compromesso.
Testo del DDL