Tra i provvedimenti ex art. 709 ter c.p.c. questo del tribunale di Varese è senza dubbio uno dei più articolati e completi nella motivazione; consente, infatti, di comprendere le specifiche ragioni per le quali il giudice ha ritenuto di non accordare il risarcimento, e di accogliere, invece, la domanda di ammonizione e di condanna al pagamento di sanzione amministrativa.
Il comportamento da cui era scaturito il ricorso della madre di due bambini era l’autoriduzione dell’ammontare mensile – da 1.000,00 a 600,00 euro – dovuto per il mantenimento dei figli.
Non è facile esprimere valutazioni nel merito, dato che il provvedimento, per sua natura interinale, non consente di disporre di tutti gli elementi conoscitivi della fattispecie.
Non è possibile comprendere, in particolare, se l’importo stabilito a carico del padre in mille euro mensili sia stato parametrato sulla base degli elementi additati dal legislatore del 2006, e se dunque quell’ammontare possa dirsi congruo o meno rispetto alla situazione reale.
Ciò che può dirsi, senz’altro, è che 1000 euro non sono poche oggettivamente, pur trattandosi di due figli, ma molto dipende – come si sa – dai redditi rispettivi delle parti, dai tempi di permanenza dei figli presso i rispettivi genitori, da chi – tra i due genitori – disponga dell’uso della casa familiare, e via dicendo.
Detta cosi, sembrerebbe però che un importo mensile di 1000,00 euro non possieda proprio il carattere della “perequatività” (di cui alla l. n. 54).
Piuttosto, l’ordinanza in parola si presta a distinguere puntualmente i diversi provvedimenti contemplati dalla disposizione dell’art. 709 ter c.p.c. evitando così che venga fatto un unico fascio indistinto e confuso.
Venendo alle singole misure, allora:
(a) riguardo al risarcimento, il giudice varesotto prende posizione netta contro la corrispondenza (da altri sostenuta) tra questo genere di risarcimento e i cd. danni punitivi. Ribadito che il risarcimento, nel nostro ordinamento, può avere una funzione soltanto riparatoria, e non punitiva, conclude per la inaccoglibilità della domanda, stante la mancanza di allegazione e di prova – da parte della ricorrente – del pregiudizio effettivo subito “(neanche descritto o minimamente indicato)”;
(b) diversa la sorte riservata alla domanda di ammonizione, alla quale il legislatore affida – leggiamo – una funzione di richiamo al rispetto dei doveri genitoriali e che, pertanto, “opera come un deterrente psicologico”. Il genitore ammonito tenderà ad adeguare il prorpio comportamento per evitare sanzioni più gravi, tra cui potrebbe rientrare anche la modifica dell’affidamento genitoriale;
(c) anche la sanzione amministrativa svolge una funzione di richiamo, tende cioè ad indurre il genitore non rispettoso degli obblighi verso i figli ad assumere un contegno allineato alle esigenze della famiglia.
Ne esce, in definitiva, un’impostazione equilibrata, che si risolve – nel caso in esame – ad un’ammonizione a carico del padre e alla comminatoria di una sanzione pecuniaria amministrativa di 75 euro.
Certamente di diversa portata avrebbe potuto essere la decisione nel caso – sostanzialmente diverso – in cui il genitore avesse trascurato totalmente di provvedere al mantenimento della prole; in tale eventualità, infatti, anche in mancanza di allegazione e prova specifica, il pregiudizio (sia patrimoniale, sia non patrimoniale/esistenziale) avrebbe potuto considerarsi accertato sulla base di presunzioni.
Stessa conclusione per l’eventualità in cui la condotta imputata investa il versante dei rapporti di frequentazione tra genitore e figli: una condotta ostacolante è inevitabilmente foriera di pregiudizio – non patrimoniale/morale/esistenziale – a carico di chi la subisce.