Mobbing e risarcimento del danno esistenziale

Scritto il 18 Gennaio 2010 in Dc-Danno non Patrimoniale

Un nuovo traguardo in tema di danno esistenziale. Precisamente un riconoscimento in materia di “mobbing” sul lavoro. Con una pronuncia articolata e minuziosa il Tribunale di Modena riconosce la sussistenza del pregiudizio esistenziale – e biologico –  lamentato da una dipendente pubblica presso l’Università di Modena, a causa dei comportamenti datoriali contrari agli obblighi di protezione di cui all’articolo 2087 c.c. e, pertanto, integranti una condotta cd. mobbizzante.

La vicenda trova origine nell’iniziale illegittimo diniego (sulla base di asseriti problemi organizzativi) della domanda di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a parziale, avanzata dalla ricorrente al rientro dal periodo di maternità.

Successivamente, la conversione in part-time veniva concessa – seppur con modalità significativamente differenti rispetto a quelle richieste dalla ricorrente – ma l’accoglimento determinava, di fatto, una serie di ripercussioni  seriamente negative nel concreto svolgimento del lavoro e nei rapporti con i superiori gerarchici e con taluni colleghi.

La ricorrente veniva non solo destinata anche ad altro laboratorio, con mansioni del tutto modeste, ma in un secondo momento veniva nuovamente trasferita – con motivazioni pretestuose se non addirittura inesistenti, e di fatto punitive – e relegata  a incarichi prettamente manuali e notevolmente inferiori rispetto alle proprie competenze.

Tale comportamento, ad avviso della Sezione lavoro del Tribunale di Modena, è manifestamente illegittimo.

 La condotta datoriale, realizzata attraverso comportamenti materiali ed atti giuridici, posta in essere in un ampio spazio temporale, è stata idonea a vessare e discriminare la lavoratrice senza essere sorretta da nessuna plausibile finalità, se non quella di mortificare, umiliare e punire la dipendente, tanto da indurla ad un allontanamento dalla struttura.

Conseguentemente, trova accoglimento la richiesta risarcitoria avanzata dalla ricorrente, in relazione al danno alla salute e al danno esistenziale patiti.

È, infatti, innegabile la lesione del bene salute, da ravvisarsi nella sindrome ansioso depressiva da cui è stata affetta la ricorrente.

Ma c’è di più. Il giudice del lavoro riconosce la derivazione causale di tale patologia dall’illegittima condotta datoriale, mostrando, così, di non poter condividere le valutazioni dei c.t. in ordine all’esclusione di tale nesso.

Quanto al lamentato danno esistenziale, precisata l’innegabile valenza esistenziale del rapporto di lavoro, il giudice ravvisa il pregiudizio essendo stata ampiamente dimostrata la condotta datoriale vessatoria ed ingiusta, a maggior ragione considerato che la condizione lavorativa ha, addirittura, provocato una lesione della salute psichica della ricorrente.

Se è pur vero che non esiste un diritto a vivere in un ambiente lavorativo sereno, tranquillo e ovattato – prosegue il giudice – è indubbio che esiste, al di là della normale conflittualità sul luogo di lavoro, l’obbligo del datore di tutelare la salute e la personalità morale del lavoratore, che significa diritto di chi lavora al rispetto anzitutto della propria dignità, a non subire ingiuste vessazioni, a svolgere le proprie mansioni e a realizzare sul luogo di lavoro la propria personalità e il proprio ruolo sociale. (S.A.)

Il testo della sentenza è tratto da giuraemilia.it