Questa la decisione della Suprema Corte in merito ad un ricorso proposto da un marito, abbastanza attempato, il quale lamentava che la causa della separazione fosse da riscontrarsi nell’abbandono della casa coniugale da parte dell’anziana moglie. Le decisioni di primo e secondo grado avevano escluso addebiti di sorta, poiché la diversità di vedute dei coniugi sulla gestione ed organizzazione della vita familiare, dovuta a gravi differenze e incompatibilità caratteriali, rendeva difficile attribuire ai fatti reciprocamente contestati i requisiti necessari a fondare detta pronuncia.
Tale conclusione ha conferma dai giudici di legittimità, i quali evidenziano che la decisione della moglie di allontanarsi dalla casa coniugale era stata determinata da una “situazione di profonda crisi nel rapporto tra i coniugi, anche in relazione ad un difetto di reciproca comunicazione, sino a portare i coniugi ad una estraneità affettiva e relazionale”e quindi si poneva“non già come causa determinante del venir meno dell’unione, ma come mero effetto e presa d’atto di una situazione di intollerabilità della convivenza da tempo maturata”.
I giudici ravvisano, dunque, nell’abbandono del tetto coniugale non la causa alla base di una crisi successivamente esplosa, bensì l’ennesimo effetto ed ulteriore segno esteriormente percepibile di una situazione di intollerabilità della convivenza già irreversibilmente in atto tra i due. Siamo di fronte, in definitiva, all’ennesima conferma dell’orientamento ormai da tempo convalidato in materia, il quale attribuisce rilievo – ai fini dell’addebito – all’abbandono del tetto coniugale soltanto se esso non trovi ragione in una situazione di intollerabilità della comunione di vita già in essere e non altrimenti superabile. [Beatrice SUCCI]