E’ di pochi giorni fa la notizia che la Cassazione, con sentenza n. 601 del 11 gennaio 2013, avrebbe rigettato un ricorso proposto da un uomo che contestava l’affidamento esclusivo del figlio alla madre, basandosi sul fatto che la stessa aveva intrapreso una convivenza con un’altra donna e che questo avrebbe automaticamente portato un pregiudizio al bambino.
Nella motivazione si legge che la doglianza dell’uomo si basava su fatti non scientificamente provati e privi quindi di certezza o dati d’esperienza: il danno, in sostanza, non era una conseguenza naturale alla tipologia della famiglia in cui era inserito il bambino.
Queste brevi righe hanno scatenato un subbuglio tra i media e le associazioni, che hanno spesso titolato in maniera generica e sicuramente parziale. Andando a leggere la sentenza infatti (perdendo alcuni minuti, forse troppo “preziosi”) si può leggere come la Cassazione rigetti il ricorso del ricorrente per motivi di incompletezza, genericità e erroneità giuridica, rimanendo sul piano delle questioni di diritto, senza ripercussioni morali o di merito.
Lo scalpore mediatico è stato, infatti, generato da tre righe finali degli Ermellini che peraltro volevano puntualizzare non tanto sulla difesa dei diritti delle coppie omosessuali, quanto sulla mancata prova da parte dell’uomo, di quegli elementi pregiudizievoli che giustificassero la sua doglianza.
Concludendo, non bisogna limitarsi a leggere parti delle sentenza, perché così facendo si rischia di estrapolarne significati forzati e non attinenti alla realtà. Questa poi è solo un’opinione (sbagliata magari) ma sentire anche l’altra “campana” può aiutare a volte a riflettere.
(commento di Federico Tufano)