Inutile dire che la vicenda del bambino padovano prelevato dai Servizi con l’uso della forza pubblica colpisce per la sua drammaticità.
Una volta tanto, però, la ‘colpa’ non può essere data né ai giudici, né agli operatori, né alle forze dell’ordine.
Dalle notizie diffuse sui media (le sole in base alla quale è possibile esprimersi al riguardo), risulta che era stata accertata a carico del bambino una sindrome di alienazione genitoriale, attribuibile a responsabilità della madre (non è possibile dire se consapevole o meno, ma non è questo il dato che conta).
Gli effetti della sindrome (cd. PAS) consistono nel rifiuto del bambino di incontrare e frequentare il genitore cd. alienato. Il solo rimedio efficace per ripristinare il rapporto tra genitore rifiutato e figlio è, purtroppo, un rimedio forte: il bambino, su ordine del giudice, viene trasferito in un ambiente neutro per un certo periodo di tempo, durante il quale vengono ripristinati gradualmente i rapporti con il genitore alienato. Non lo si può evitare, perché se il bambino venisse mantenuto nell’ambiente a lui consueto, dove l’alienazione si è insediata, ogni tentativo risulterebbe vano.
Proprio perché il rimedio consiste in una misura forte, i giudici italiani, fino ad oggi, si sono mostrati piuttosto riiluttanti a riconoscere l’esistenza stessa della PAS. Il fatto è che il fenomeno esiste ed è in aumento, e occorrono rimedi per evitare che un bambino venga privato dell’affetto e delel cure di entrambi i genitori.
La Corte d’appello di Venezia ha avuto il coraggio di ammettere l’esistenza della tanto vituperata sindrome e ha stabilito che si dovesse passare ai rimedi.
La forza pubblica si è poi resa indispensabile perché mesi e mesi di tentativi bonari per prelevare il bambino erano falliti, a causa – a quanto pare – della mancanza di collaborazione da parte della madre.
Il video, poi, diffuso sulla rete ha fatto sì che l’asprezza della scena divenisse di dominio comune; ma, quel video mostra la resistenza passiva del bambino, e le grida e offese rivolte dalla zia materna agli operatori.
Ebbene, possiamo dire che l’atteggiamento di quella zia sia stato adeguato a preservare la serenità del bambino? O piuttosto, se la donna avesse evitato di aggravare la situazione, tutto si sarebbe svolto senza tanta sofferenza?
Non credo sia giusto sputare sentenze, quando non si conoscono i retroscena e non si hanno elementi per accordare correttamente la ragione e il torto.
Un’ultima considerazione: è noto a molti (se non a tutti) che i bambini vengono sottratti alle famiglie dai servizi sociali anche con l’uso della forza pubblica, su ordine del giudice minorile; e ciò avviene anche allorchè non vi siano prove certe sulla inadeguatezza dei genitori: eppure, questi casi non fanno scandalo.