Cosa significa Stepchild Adoption?

Scritto il 30 Gennaio 2017 in Adozione Diritto di Famiglia

Cosa significa Stepchild adoption ? La lingua anglosassone ci appartiene sempre di più, ma dire cos’è la stepchild adoption non è proprio così immediato nè intuibile.

Letteralmente sarebbe l’adozione del ‘figliastro’ ma, ‘figliastro’ è un concetto oggigiorno bandito dalla legge e dalla società. Dunque?

Si tratta invero di quel fenomeno che si verifica quando un bambino viene adottato dal compagno della madre o dalla compagna del padre.

Come si sa, oggi in Italia non è ancor consentito adottare ad una coppia non sposata.

Così, quando nel 2016 è stata approvata la legge sulla continuità affettiva, si parlò molto della stepchild adoption, o meglio della possibilità di estendere la possibilità di adottare alle coppie unite civilmente (in pratica alle coppie omosessuali conviventi).
Come noto, l’esito è stato negativo. Difatti, la legge 76 del 2016 non consente alla persona “unita civilmente” di adottare il figlio del partner, possibilità che, invece, viene espressamente riconosciuta alla persona sposata che può, ricorrendone i presupposti, adottare il figlio del coniuge: a sancirlo è infatti la legge sulle adozioni, all’art. 44, primo comma, lett. b).

A parere di molti si tratterebbe di un’irragionevole discriminazione che andrebbe eliminata, e sarebbe compito del Legislatore farlo.

Nel frattempo, però, una soluzione è stata fornita dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione relativamente alla c.d. “famiglia di fatto”, ossia la famiglia costituita da due persone – anche dello stesso sesso – che, pur non essendo unite in matrimonio, convivono come se fossero posate (more uxorio) anche, eventualmente, insieme a figli. Ebbene, alla Cassazione è stato recentemente chiesto se al convivente – al pari del coniuge – sia consentito adottare il figlio dell’altro/a partner.

 

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La Suprema Corte ha dato risposta positiva, riconoscendo ad una donna legata da relazione sentimentale e di convivenza con un’altra donna la facoltà di adottare la figlia di quest’ultima. Nella specie, la minore aveva sempre vissuto con la madre e la sua compagna, sin dalla nascita, in un ambiente domestico di positive relazioni affettive: insomma, è come se le due donne fossero sempre state, entrambe, i suoi genitori!

I Giudici della suprema Corte, utilizzando la stessa legge sulle adozioni (art. 44, primo comma, lett. d), hanno riconosciuto il diritto della minore ad essere adottata da chi, di fatto, ha sempre rappresentato per lei un vero e proprio genitore; e ciò in conformità al “principio ispiratore di tutta la disciplina in esame: l’effettiva realizzazione degli interessi del minore” (Cass. Civ., 22 giugno 2016, n. 12962).

In altri termini, secondo la suprema Corte, in virtù della citata norma, è consentito anche al “convivente” adottare il figlio del partner, ma ciò solo quando l’adozione serva a realizzare l’interesse del minore alla formalizzazione del rapporto affettivo con chi, già di fatto, rappresenti per lui un secondo genitore. In tal modo, infatti, si realizza l’interesse dello stesso minore alla conservazione della continuità affettivo-educativa con tale persona.

Ebbene – a parere di chi scrive – lo stesso ragionamento potrebbe applicarsi anche alle “unioni civili”: difatti, se a contare è l’interesse del minore alla formalizzazione ed alla conservazione del rapporto affettivo, il medesimo interesse potrebbe riscontrarsi anche rispetto ad una persona non solo convivente ma anche “unita civilmente” col genitore del minore stesso: sarà ancora la giurisprudenza oppure – sarebbe auspicabile – il Legislatore a confermare la praticabilità di questa lettura.