L’interdizione perde altro terreno! La notizia è di quelle che incoraggiano: La Cassazione ha ristretto ulteriormente lo spazio operativo dell’interdizione.
Ricorderete che, a partire dal 2006, la Suprema Corte aveva consacrato la prevalenza dell’amministrazione di sostegno e, per contro, il carattere residuale dell’interdizione; e aveva detto in sostanza: se l’attività da svolgere nell’interesse del disabile è “di una certa complessità, da svolgere in una molteplicità di direzioni“, l’interdizione potrebbe ancora trovare applicazione.
La possibilità di interdire una persone veniva mantenuta salva, in altri termini,
per i casi in cui occorresse “impedire al soggetto da tutelare di compiere atti pregiudizievoli per sè, eventualmente anche in considerazione di un minimum di vita di relazione che portasse la persona ad avere contatti con l’esterno”.
Paolo Cendon (padre morale della riforma sull’ads) che pure aveva accolto favorevolmente la sentenza del 2006, aveva esortato la Cassazione a fare di meglio: “La prossima volta sarà possibile, tuttavia, farne una ancor migliore – cioè ancor più fedele ai principi del nostro ordinamento(…)”.
Bene, ci siamo arrivati, finalmente nel settembre 2015.
La più recente sentenza della Cassazione (sentenza n. 17962/2015) sottolinea la necessità di conservare all’interessato la capacità di compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della vita quotidiana, capacità che è garantita comunque e sempre dall’amministrazione di sostegno, mentre viene totalmente annullata con l’interdizione.
Che cosa cambia, dunque, in pratica, dopo questa innovativa sentenza?
– Primo: l’esistenza di un patrimonio significativo non giustifica più l’interdizione.
Alcuni giudici di merito, infatti, in questi anni, avevano stabilito l’equivalenza tra patrimonio consistente e attività complessa: ergo, in virtù di questo sillogismo, il patrimonio consistente spingeva dritto in zona interdizione!
In pratica: un infermo di mente ricco doveva essere interdetto, quello povero magari veniva risparmiato (!!!).
– Secondo: l’eventuale ostilità dell’ interessato verso l’amministratore di sostegno non giustifica, di per sè, l’interdizione.
E, infatti, in caso di contrasto tra beneficiairo dell’ads e amministratore di sostegno, si può chiedere l’intervento del giudice, cui spetta di assumere i provvedimenti opportuni.
– Terzo: se proprio sarà necessario per proteggere al meglio il beneficiario, il giudice potrà disporre limitazioni o vietare il compimento di determinati atti, e ciò in base a quanto prevede l’ultimo comma dell’art. 411 c.c.
Una bella sentenza, dunque, una decisione attesa, che allarga il cuore.
E così la parola fine per l’interdizione si avvicina.
Una cosa però è certa: tutti ma proprio tutti i giudici smetteranno di in interdire soltanto quando questa misura non esisterà più, per legge; solo quando, cioè, essa sarà stata cancellata dal codice civile.
E la parola fine – voci dal Parlamento dicono – potrebbe essere ormai vicina. Ci vorrebbe soltanto una spinta alla calendarizzazione del PdL n. 1985, presentato alla Camera nel 2014.